Dipendenza da sostanze psicoattive
Sempre più, quando si parla di dipendenze patologiche, si estende il concetto a tutta una serie di dipendenze non direttamente legate all’abuso di droga. A tutti gli effetti un legame di dipendenza si può manifestare anche per il gioco d’azzardo, per il sesso, per l’uso di sostanze che migliorano le prestazioni fisiche e sportive e quindi dopanti. In tutte queste manifestazioni riconosciamo dei meccanismi comuni che sono sia di tipo neurobiologico che psicologico, che fanno sì che tale comportamento, che all’inizio ci si illude di poter controllare, diventi poi un circolo vizioso in cui la persona dipendente ha per scopo quasi esclusivo della sua vita il procurarsi la sostanza (o l’agire il comportamento) di cui è diventato schiavo.
Per semplificare al massimo i meccanismi che portano all’instaurarsi di una dipendenza si può dire che alla base di ogni comportamento di questo tipo vi è il cosiddetto meccanismo di gratificazione o di ricompensa, che appartiene alla storia evolutiva dell’uomo. Tale meccanismo ha permesso di ricompensare, con una sensazione di piacere o di gratificazione, tutti quei comportamenti che hanno favorito lo sviluppo, la sopravvivenza e la selezione della specie: il cibo, il coraggio, la riproduzione.
Questi meccanismi sono stati recentemente individuati con precisione: nel cervello uno specifico neuromodulatore, la dopamina, è responsabile della trasmissione degli stimoli che determinano un’intensa sensazione di piacere A livello fisiologico, questo sistema riconosce dei meccanismi di regolazione che intervengono a limitare il numero delle stimolazioni successive (ad esempio, in sequenza: sensazione di fame – cibo – sensazione di appagamento – sensazione di sazietà, che di fatto fa cessare il bisogno di nutrirsi e il relativo senso di appagamento). Ma l’uomo ha imparato a ingannare e a manipolare con sostanze introdotte dall’esterno (le droghe appunto) o con certi comportamenti, tale meccanismo di autolimitazione.
Tutto questo però ha un costo: si determinano delle alterazioni di quel delicato equilibrio psicosomatico che esiste in condizioni fisiologiche, alterazioni che portano a un disequilibrio di tutto il sistema di regolazione omeostatica dell’organismo e che saranno responsabili del fenomeno dell’assuefazione (o tolleranza) e, in caso di sospensione dell’uso di sostanza, delle crisi di astinenza. Vediamo di entrare in un minimo di dettaglio: l’uso di droghe produce, almeno nelle fasi iniziali, degli effetti considerati positivi. Tali effetti, che possono essere sperimentati casualmente o ricercati volutamente, determinano la tendenza a riproporre l’uso della sostanza ogni volta si ripresenti una situazione in cui tale effetto sia ritenuto utile e positivo. Di fatto la sostanza funziona come una specie di ingannevole «scorciatoia» che inizialmente, ma solo inizialmente, sembra poter risolvere dall’esterno, senza che una persona impegni la sua volontà o le sue energie, i propri deficit o problemi o sofferenze, o migliorare alcune prestazioni. Da quella situazione particolare e iniziale si rischia di scivolare col tempo in un uso quotidiano, in quanto la sostanza può diventare per così dire indispensabile per compiere determinate azioni.
Abbiamo quindi delineato, nell’instaurarsi della dipendenza, la presenza di una componente fisica e di una componente psicologica, che peraltro sono strettamente interconnesse.
Abbiamo visto come la liberazione di dopamina produca un senso di gratificazione: i comportamenti che producono liberazione di dopamina si possono apprendere e quindi ripetere; tale apprendimento viene detto apprendimento «incentivo».
Le sostanze d’abuso possiedono, oltre alla capacità di determinare di per sé effetti gratificanti, anche quella di facilitare l’apprendimento incentivo di comportamenti finalizzati al consumo della sostanza, e tale meccanismo è alla base del meccanismo di dipendenza e del craving, aspetti caratterizzanti la componente psicologica della dipendenza.
Con tutta probabilità una sostanza psicoattiva non è in grado di produrre dipendenza alla sua prima assunzione, e questo concetto va tenuto ben distinto da quello della potenziale tossicità della medesima sostanza che, già alla prima assunzione, può causare gravi problemi o essere addirittura letale. In ciò giocano vari fattori legati alle caratteristiche della droga, alla sua purezza (quantità di principio attivo presente nella dose), alla presenza di contaminanti o di sostanze da taglio (es. stricnina, atropina…), alla particolare reattività dell’assuntore.
Se però l’uso viene protratto per un tempo sufficiente, anche qui non definibile a priori, ma correlato alla specifica sostanza e alle caratteristiche individuali del soggetto, tale sostanza attiva dei meccanismi biologici che progressivamente riducono l’effetto di tale sostanza sull’organismo (ad esempio perché velocizzano il suo metabolismo). Si manifesta quindi quella che viene definita «tolleranza» o «assuefazione», per via della quale assumendo nel tempo il medesimo quantitativo di sostanza, l’effetto percepito si riduce progressivamente, ovvero per avere sempre il medesimo effetto occorre aumentare progressivamente la quantità di sostanza che si assume. Questo vale per la maggior parte delle droghe, ma anche per gli psicofarmaci (ad esempio gli ipnotici e i tranquillanti) e per molte altre sostanze usate anche nella pratica del doping.
Quando si è arrivati a questo punto la droga è divenuta fondamentale per mantenere uno stato di equilibrio o di benessere dell’organismo, equilibrio che la droga ha «spostato» da quella che è la condizione fisiologica normale. Cessando bruscamente l’uso, si precipita l’organismo in una condizione acuta di squilibrio, la «crisi di astinenza», che è tipica e diversa da sostanza a sostanza. In alcuni casi si manifestano principalmente sintomi di tipo psichico (ansia o depressione, irrequietezza o apatia) oppure di tipo fisico (nausea, vomito, tremori, sudorazioni o brividi ecc.) oppure, più spesso, i sintomi associati.
Esiste una condizione di astinenza che può determinare un grave pericolo per la vita dell’assuntore, ed è la crisi di astinenza acuta da alcolici.
In altre situazioni i sintomi fisici potrebbero essere anche controllabili, se non fosse che il tossicodipendente, avendo una scarsissima tolleranza alla frustrazione, mette in atto da subito tutta una serie di comportamenti, persino aggressivi o criminali, per evitare anche il minimo disturbo o sintomo fisico. Superata la crisi d’astinenza o concluso un percorso di disintossicazione, il cammino è però ancora lungo: è il momento in cui la dipendenza psicologica si manifesta spesso con prepotenza. Se nella fase di uso di sostanza, il bisogno di gratificazione era ritenuto così importante da far sì che vi si attribuisse priorità in ogni scala di valori, senza tener conto delle conseguenze a livello sanitario, sociale, legale, e cercando di procurarsela a ogni costo (craving, ovvero il desiderio irresistibile per la sostanza o i suoi effetti), una volta disintossicati da un punto di vista fisico, al primo ripresentarsi di una difficoltà o alla prima necessità sarà molto facile ricordarsi degli effetti e dei presunti «vantaggi» di quella sostanza da cui si era diventati dipendenti, e ricadere in un circolo vizioso se non ancora sufficientemente motivati e supportati a intraprendere unpercorso riabilitativo che porti ad affrontare e superare le difficoltà della vita con le proprie risorse.
Legata al pericolo di ricadute, vi è un’altra condizione estremamente pericolosa che va considerata: una volta disintossicato, l’organismo perde quella condizione di assuefazione o tolleranza che era diventata anche un fattore protettivo rispetto al rischio di overdose. Ma al primo nuovo utilizzo di sostanza, anche a un dosaggio ai tempi considerato sufficiente solo a non far percepire i sintomi di astinenza, il soggetto, privo di quel meccanismo di protezione appena descritto, può incorrere in una condizione di overdose che può essere anche letale se non prontamente e adeguatamente soccorsa.
Per concludere: una «droga» sicura non è stata ancora trovata. Una sostanza chimica che ci eviti la fatica e l’impegno necessari per raggiungere una meta, un risultato, non c’è.
L’illusione di trovare un’alternativa «chimica» all’impegno personale può condurre in un labirinto da cui è molto difficile uscire.