Il lavoro è il motivo del soggiorno in Italia di circa 800.000 immigrati stranieri (dato antecedente alla regolarizzazione dell’autunno 2002). Dall’annuale Dossier statistico curato dalla Caritas di Roma emerge che gli immigrati stranieri:
• costituiscono oltre il 3% della forza lavoro italiana, con una notevole incidenza nel settore del lavoro dipendente e un’incidenza molto scarsa nel settore del lavoro autonomo;
• rappresentano quasi l’8% del totale dei disoccupati, ma sono di meno tra i disoccupati di lunga durata (5,3%);
• vengono molto richiesti nei settori dell’industria e dell’agricoltura (quasi i due terzi del totale) e, rispetto a qualche anno fa, meno nel terziario;
• nella stragrande maggioranza dei casi sono chiamati a svolgere compiti di manovalanza (gli operai generici costituiscono quasi l’80% degli inserimenti lavorativi annuali); in generale prevale il collocamento nelle industrie al Nord, nei servizi al Centro (e anche al Nord) e in agricoltura al Sud.
Inoltre, l’elevato inserimento lavorativo degli stranieri dipende sostanzialmente da: maggiore disponibilità alla mobilità territoriale; prevalenza del collocamento nelle piccole e medie imprese, nei lavori stagionali, nelle occupazioni pesanti, disagiate e precarie, nel basso terziario tipicamente urbano e nelle occupazioni irregolari.
Un altro studio sul lavoro degli immigrati stranieri in Italia, il Rapporto Immigrazione dell’IRES-CGIL, sottolinea che:
• il modello principale di inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano prevede una fase di presenza irregolare (e quindi di lavoro irregolare), seguita spesso dall’inserimento in situazioni occupazionali più stabili e garantite;
• l’elevata domanda di manodopera non nazionale da parte degli industriali italiani dimostra come l’immigrazione in Italia sia complementare e non sostitutiva nei confronti della forza lavoro locale;
• esistono differenze salariali tra stranieri immigrati e italiani che variano a seconda del settore e della zona. Le paghe più basse si registrano per i lavoratori stranieri al nero nel settore agricolo e nel settore edile del Sud.
Anche nei servizi si registrano spesso salari largamente inferiori a quelli contrattuali. I salari minimi riguardano generalmente lavoratori irregolari, che in molti casi sono stranieri con regolare permesso di soggiorno.
I dati ufficiali sull’occupazione degli immigrati (INPS) sono però decisamente inferiori al numero di coloro che risiedono regolarmente in Italia per motivi di lavoro. Ciò è dovuto senz’altro alle imprecisioni nelle rilevazioni statistiche e al fatto che in molti casi non viene dichiarata la nazionalità, ma la differenza comprende comunque tutti gli immigrati regolari e illegali impiegati (per scelta o per necessità) nel mercato parallelo dell’occupazione irregolare.
Regolarizzazione per lavoro
Al fine di far emergere e sanare le situazioni di occupazione irregolare di stranieri immigrati, il governo ha previsto nella Legge 189/2002, emanata il 30 luglio 2002, la possibilità per i datori di lavoro privati di regolarizzare rapporti di lavoro domestico con colf e badanti stranieri privi di regolare permesso di soggiorno. Successivamente, con il Decreto Legge n. 195 del 9 settembre 2002 e relative modifiche, lo stesso governo ha poi esteso le condizioni di regolarizzazione previste per colf e badanti ai lavoratori non comunitari irregolari con rapporti di lavoro subordinato.
In pratica, la dichiarazione del datore di lavoro di voler regolarizzare la posizione di un lavoratore straniero con un contratto di lavoro di durata non inferiore a un anno e il pagamento di 700 euro hanno permesso, entro l’11 novembre 2002, la regolarizzazione di stranieri irregolari con relativa concessione di contratti di soggiorno.
Contratto di soggiorno
La nuova legge sull’immigrazione ha introdotto una norma (art. 6) secondo cui il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato a seguito della stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato. Tale contratto, stipulato da un cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia e un cittadino non comunitario prestatore di lavoro, deve contenere:
la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale
pubblica;
l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza.
La durata del contratto di soggiorno non può superare:
nove mesi, in relazione ad uno o più contratti di lavoro stagionale;
un anno, per un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
due anni, per un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia almeno due anni di seguito per prestare lavoro stagionale può essere rilasciato, qualora si tratti di impieghi ripetitivi, un permesso pluriennale, fino a tre annualità. Il relativo visto di ingresso è rilasciato ogni anno.
In caso di perdita del posto di lavoro, il lavoratore non comunitario in possesso di permesso di soggiorno può essere iscritto alle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi (art. 18).
Secondo la CGIL, però, il contratto di soggiorno introdotto dal governo è un contratto individuale di lavoro “sui generis” e tipizzato in relazione alla qualità soggettiva di uno dei contraenti, ossia in relazione all’essere il lavoratore contraente un immigrato non comunitario. La Costituzione italiana garantisce allo stesso modo tutti i lavoratori, senza far differenza o dar modo di differenziare, tra chi è cittadino italiano e chi non lo è. E’ pertanto altamente discutibile, per rapporto ai principi costituzionali, sostiene la CGIL, assumere il possesso della cittadinanza a fattore discriminante della disciplina dei contratti individuali, predisponendo per legge un tipo di rapporto contrattuale che valga solo per gli immigrati non comunitari in quanto tali.
Ingresso per lavoro
La nuova legge prevede la determinazione delle quote d’ingresso per motivi di lavoro che sarà predisposta (anche con decreti infrannuali) in base ai dati sull’effettiva richiesta di lavoro, prevedendo, tra l’altro, quote riservate ai lavoratori di origine italiana residenti in Paesi non comunitari. Il termine per l’emanazione del decreto di programmazione dei flussi di lavoro viene spostato al 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui si riferisce il decreto, mentre è stata eliminata la norma secondo cui, in caso di mancata emanazione del decreto, valgono le quote dell’anno precedente. Altra modifica rispetto alla normativa precedente è la soppressione dell’istituto dello sponsor (cioè la prestazione di garanzia per ricerca di lavoro prevista dalla Legge n. 40/98), mentre è stata introdotta una disposizione che privilegia gli stranieri che hanno svolto un percorso formativo nei loro Paesi di origine, sulla base di programmi di formazione professionale approvati da pubbliche amministrazioni italiane.
In ogni provincia, inoltre, viene istituito presso la Prefettura-Ufficio Territoriale del governo uno sportello unico per l’immigrazione, responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato.
Il datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornante in Italia che intende instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato con uno straniero residente all’estero deve presentare allo sportello unico per l’immigrazione della provincia di residenza, ovvero di quella in cui ha sede legale l’impresa, ovvero di quella ove avrà luogo la prestazione lavorativa:
richiesta nominativa di nulla osta al lavoro;
idonea documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa per il lavoratore straniero;
la proposta di contratto di soggiorno con specificazione delle relative condizioni, comprensiva dell’impegno al pagamento da parte dello stesso datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza;
dichiarazione di impegno a comunicare ogni variazione concernente il rapporto di lavoro.
Il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno o il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di 5000 euro per ogni lavoratore impiegato.
Chi può lavorare
Per poter lavorare in Italia o essere iscritti alle liste di disoccupazione gli immigrati stranieri devono essere in possesso di un permesso di soggiorno per uno dei seguenti motivi: lavoro subordinato, stagionale o autonomo; iscrizione liste collocamento-disoccupazione; famiglia; ricongiungimento familiare; asilo politico; protezione sociale; studio e formazione professionale (massimo 20 ore settimanali e 1040 annuali); affidamento.
Non possono lavorare in Italia gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per: turismo; richiesta asilo; motivi religiosi; affari; cure mediche; giustizia; minore età.
Possono inoltre lavorare in Italia particolari categorie di lavoratori stranieri con contratti di lavoro subordinato (escluse dalle quote d’ingresso annuali): dirigenti o personale altamente specializzato di società e uffici di rappresentanza; professori e ricercatori universitari, traduttori e interpreti; collaboratori familiari di cittadini italiani o comunitari con contratto di lavoro all’estero che si trasferiscono in Italia per continuare lo stesso rapporto di lavoro; sportivi e lavoratori dello spettacolo; lavoratori marittimi; personale che si trasferisce in Italia per particolari periodi di addestramento.