Sistema giudiziario

ll sistema della giustizia minorile riguarda tutti i ragazzi e le ragazze che in età compresa fra i 14 e i 18 anni hanno infranto il codice penale o quello civile.
L’esecuzione della pena in strutture gestite dal sistema giuridico minorile può prolungarsi fino ai 21 anni, mentre la competenza dei magistrati minorili dura fino al 25º anno di età.

Il Dipartimento Giustizia Minorile
Il Dipartimento Giustizia Minorile è un’articolazione organizzativa del Ministero della Giustizia deputata alla tutela e alla protezione giuridica dei minori nonché al trattamento dei giovani che commettono un reato fra i 14 e i 18 anni.
Il Dipartimento si compone di una struttura centrale, che elabora linee di indirizzo, attua verifiche sui risultati conseguiti e coordina gli interventi sul territorio nazionale, e alcuni servizi periferici (Centri giustizia minorile, Istituti penali, Centri di prima accoglienza, Uffici di servizio sociale, Comunità per adolescenti) attraverso i quali vengono assicurate le misure penali interne ed esterne al carcere e viene fornito specifico supporto ai minori che entrano nel circuito penale ed alle loro famiglie.
La specificità del trattamento del minore deviante, che giustifica l’esistenza autonoma di un Dipartimento della Giustizia Minorile (caso unico) deriva dalla particolare tutela prevista dalla normativa nazionale e internazionale per i minorenni in quanto soggetti in età evolutiva. Tale protezione giuridica implica risposte di giustizia peculiari e in grado di attivare processi di crescita responsabilizzante ai fini del superamento della condotta deviante e nell’ottica del recupero del minore alla legalità e quindi alla società.
Per l’attuazione di interventi trattamentali aventi le caratteristiche anzidette sono previste, presso le strutture minorili, figure professionali quali educatori, psicologi e assistenti sociali che vengono opportunamente formati al momento dell’ingresso nella Giustizia minorile e successivamente sono destinatari di una costante attività di aggiornamento professionale.

L’impianto normativo
L’intero apparato della Giustizia minorile viene configurandosi a partire dall’istituzione del Tribunale dei Minori, in risposta all’esigenza di individuare un organo specializzato, a tutela della particolarità dell’utenza, del carattere evolutivo e, quindi, non definitivo del momento adolescenziale. L’adolescenza in quanto epoca di transito, rende prioritario l’interesse a promuovere o a rimuovere gli ostacoli ai processi evolutivi anziché sancirne gli esiti negativi, in vista di un obiettivo a più lunga scadenza: il futuro inserimento nella società.

L’imputabilità
Il sistema penale minorile italiano si costruisce intorno al concetto di imputabilità. Presso il Tribunale per i Minorenni è istituito l’ufficio del Pubblico Ministero, presieduto da un magistrato avente grado di Procuratore della Repubblica, cui spetta di promuovere ed esercitare l’azione penale per tutti i reati commessi dai minori degli anni 18 nell’ambito del territorio di Corte d’Appello.
Per poter procedere penalmente nei confronti di un minore è necessario che questi sia imputabile. Il concetto di imputabilità implica la capacità di intendere e di volere come presupposto della colpevolezza. L’imputabilità, pertanto, significa la capacità del minore di essere dichiarato responsabile di un reato e di essere sottoposto a una pena. Per il nostro ordinamento il minore infraquattordicenne non è mai imputabile. L’art.98 del codice penale precisa altresì che “è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto 14 anni ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere.” Mentre per i maggiorenni la capacità di intendere e volere è presunta, per i minori dai 14 ai 18 anni, deve essere accertata volta per volta, in relazione al reato compiuto.

Il sistema penale minorile
L’attuale assetto della Giustizia penale minorile è il punto d’arrivo di un percorso articolato e complesso ed intorno a cui il dibattito nel nostro paese è ancora vivo ed acceso. Dal 1988, in Italia, il processo penale minorile (D.P.R.448/88) diviene un evento delicato ed importante nella vita del minore, una parentesi entro cui avviare percorsi di re/interpretazione della propria storia di crescita e di sviluppo. Un processo penale che, con tutte le garanzie del processo ordinario, tende a limitare, per quanto possibile, gli effetti dannosi che il contatto con la giustizia può provocare, producendo risposte adeguate alla personalità ed alle esigenze educative del minore.
Con l’attuale codice si attiva un sistema di giustizia penale diversificato, dove il passaggio più significativo è costituito dallo spostamento dell’attenzione al minore da oggetto di protezione e tutela a soggetto titolare di diritti. La giustizia penale si adegua alla capacità del soggetto adolescente di valutare la portata della trasgressione e di sopportare il peso della sanzione, contemperando istanze di risposta pedagogica con le finalità retributive più generali della pena.
Tutto ciò è reso possibile dalla presenza di un giudice naturale specializzato, all’interno di un processo adeguatamente ed appositamente strutturato.
Il testo normativo, complessivamente, promuove provvedimenti che consentano la rapida chiusura del processo; la riduzione di risposte limitative della libertà personale e più in generale la riduzione del danno che l’impatto con la giustizia può produrre sul piano educativo. La norma indica inoltre sentieri diversificati di uscita dal circuito penale che valorizzano interventi di aiuto e sostegno attuabili attraverso l’azione diretta con il ragazzo, la sua famiglia, il suo contesto allargato di relazioni, il suo ambiente, ed attraverso l’azione indiretta che coinvolge il livello territoriale, mediante il coinvolgimento delle risorse presenti nel contesto per una risposta al fenomeno della devianza congruente alla realtà in cui si origina e si sviluppa.
Le linee-guida individuabili evidenziano come il legislatore abbia sottolineato il diritto del minore:
• all’assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento;
• all’adeguatezza nell’applicazione delle norme alla sua personalità ed alle sue esigenze educative;
• alla tutela della riservatezza;
• al diritto di informazione sugli atti, sulle fasi ed i provvedimenti adottati, come condizione necessaria per promuovere quel processo di responsabilizzazione progressiva;
• alla specializzazione dei soggetti implicati nel processo che interagiscono con il minore, ossia giudici, operatori sociali, polizia giudiziaria, difensori ecc.
Sul piano operativo ciò comporta:
• la facoltatività dell’arresto e del fermo;
• l’individuazione di misure cautelari non detentive come le prescrizioni, la permanenza in casa e il collocamento in comunità educativa con utilizzo residuale della custodia in carcere;
• la possibilità di rapida uscita dal circuito penale attraverso istituti giuridici specifici come per es. l’irrilevanza del fatto; la possibilità di sospendere il processo e di mettere alla prova il ragazzo, che rappresenta sul piano delle soluzioni introdotte la più innovativa in quanto consente la possibilità di estinzione del reato per esito positivo della prova;
• la possibilità di adottare nell’ambito del processo penale temporanei provvedimenti civili a tutela del minore;
• una diversa e più funzionale organizzazione dei servizi minorili chiamati a collaborare con l’autorità giudiziaria.
L’intervento penale si basa, pertanto, sulla diversificazione della risposta, che si connota come adeguata alla gravità del fatto, ma soprattutto alla personalità, alle esigenze educative del minore, alla necessità di non causare interruzioni dannose al processo evolutivo della sua personalità e di non trasformare l’impatto con la giustizia in un’esperienza destrutturante e diseducativa.

Alcuni passaggi significativi:
• centralità della dimensione educativa nell’azione penale;
• strategia relazionale e reticolare dell’intervento penale per connettere la pluralità di attori sociali coinvolti;
• necessità di potenziare percorsi di sviluppo diversificati sul piano operativo (potenziare le opportunità territoriali), tecnico (promuovere ed incentivare la professionalità degli operatori, investire in formazione), organizzativo (sviluppare formule di coordinamento e di integrazione e favorire all’interno della giustizia minorile nuovi assetti organizzativi).

I servizi della giustizia minorile
Il processo di cambiamento del quadro normativo avviato nel 1988 ha comportato una ridefinizione dell’assetto organizzativo e gestionale dei servizi dell’amministrazione della Giustizia minorile.
I servizi periferici del Dipartimento della Giustizia Minorile sono:
1. Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni;
2. Istituto Penale per i Minorenni,
3. Centro di Prima Accoglienza;
4. Comunità educativa.

L’Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni si attiva nel momento in cui, a seguito di denuncia, un minore entra nel circuito penale e costituisce il servizio che accompagna il ragazzo in tutto il suo percorso penale, dall’inizio alla fine. Avvia l’intervento in tempo reale (entro le 96 ore) per il minore in stato di arresto e di fermo, segue il progetto educativo del minore in misura cautelare non detentiva, gestisce la misura della sospensione del processo e della messa alla prova e complessivamente segue tutte le misure alternative e sostitutive. Svolge altresì compiti di assistenza in ogni stato e grado del procedimento, e predispone la raccolta di informazioni utili per l’accertamento della personalità su richiesta del Pubblico Ministero.
Il Centro di Prima Accoglienza è una struttura filtro che ospita i minori arrestati e fermati, per un massimo di 96 ore in attesa dell’udienza di convalida. Un servizio “veloce” che evita l’impatto con il carcere, che si connota strutturalmente come una casa dove gli operatori minorili accolgono, informano, sostengono il minore e avviano il possibile “prototipo” del progetto educativo, se il minore resterà nell’area penale.
L’Istituto Penale per i Minorenni è lo spazio preposto all’esecuzione della misura cautelare detentiva e della pena ed ha una organizzazione funzionale ad un’azione educativa sempre più integrata con gli altri Servizi della giustizia minorile e del territorio. Gli Istituti Penali per i Minorenni ospitano minorenni o ultradiciottenni (fino agli anni 21, nel caso in cui il reato a cui è riferita la misura sia stato commesso prima del compimento della maggiore età) in custodia cautelare o in esecuzione di pena detentiva. Il D.P.R. 448/88, introducendo il principio della residualità della detenzione per i minorenni, opera, di fatto, rispetto al passato, una decentralizzazione del carcere nel sistema penale minorile.
Attualmente gli Istituti Penali per i Minorenni sono in numero di 17. Ogni anno transitano nei nostri IPM circa 1500 ragazzi, con una presenza media giornaliera di circa 500 ragazzi. La peculiarità del nostro sistema è data dalla capacità di “convivenza” tra l’area educativa e l’area della sicurezza, realizzata attraverso soluzioni specifiche come un corpo di polizia penitenziaria adeguatamente formato e quindi specializzato al rapporto con gli adolescenti e la presenza di difese passive dall’impatto non intrusivo.
Le Comunità educative sono servizi di supporto all’intervento in area penale esterna, possono essere gestite dalla Giustizia Minorile anche se attualmente prevale la formula del convenzionamento o della cogestione con le forze del privato sociale. Il sistema di servizi nelle grandi linee delineato si muove più propriamente nell’area dell’intervento socio-educativo.Accorpando per grandi aree le funzioni che i servizi espletano si possono individuare e riconoscere le seguenti funzioni:
• una funzione informativa/conoscitiva finalizzata a fornire al giudice elementi di conoscenza psico-sociale del minore/famiglia/contesto e di verifica in seguito sull’andamento del progetto educativo;
• una funzione di accoglienza fisica e psicologica legata all’ingresso nel sistema penale che parte dalla risposta ai bisogni primari, qualora il ragazzo sia ospite di una struttura contenitiva, per diventare disponibilità all’ascolto, al dialogo, alla comunicazione. L’accoglienza si esprime anche attraverso l’assistenza in ogni stato e grado del procedimento prevista dalle norme ed intesa come sostegno e supporto suppletivo rispetto a quello assicurato dai genitori;
• una funzione di sostegno affettivo relazionale e di aiuto che nasce dall’evento reato e lavora intorno al riconoscimento e rielaborazione dello stesso. La conoscenza del minore, della sua storia, della sua personalità e delle dinamiche relazionali con il contesto familiare e sociale, per comprendere come, dove e perché si colloca il reato, e proprio quel tipo di reato, servono ad avviare un percorso “aperto” dove il ragazzo possa dare lui stesso un senso ai suoi sentimenti, ai suoi vissuti, alla sua storia;
• una funzione di intervento-trattamento. Per trattamento, nella pedagogia penitenziaria, ci si riferisce a quelle attività connesse con la funzione socializzante della pena da svolgere all’interno degli stabilimenti penitenziari. In questo ambito ci si riferisce a quell’attività che consente dopo aver “ascoltato” il minore di porre in essere una progettualità delimitata nelle grandi linee dalla misura giuridica e dai suoi tempi, nello specifico dalla soggettività di ogni storia di vita e dai micro-obiettivi di crescita e di sviluppo che al suo interno si possono attivare;
• una funzione di controllo. La presenza d’aiuto non esclude il controllo. I due aspetti sono funzionali e si integrano tra loro in vista dell’obiettivo generale da raggiungere: l’uscita dal penale e il cambiamento del ragazzo. La dimensione negoziale del cosiddetto “contratto sociale” stipulato tra operatore-ragazzo introduce una dimensione valutativa che consente alla funzione di controllo di caratterizzarsi come verifica del percorso effettuato, in una prospettiva più promozionale verso gli obiettivi da raggiungere che di adeguamento e passivizzazione dei comportamenti. La regola di comportamento resa obbligatoria dall’autorità giudiziaria diventa uno strumento di intervento responsabilizzante;
• una funzione di raccordo. Il raccordo si attiva in base ai diversi interlocutori. Innanzittutto è un raccordo con il giudice, a cui l’operatore periodicamente relaziona sull’andamento del progetto ed a cui spetta il compito di decidere sulla base delle indicazioni tecniche l’esito delle diverse misure. La funzione di raccordo si rivolge anche al territorio, ai servizi locali, alle agenzie del privato sociale ecc, cioè a tutte quelle realtà che il progetto coinvolge e che svolgono una funzione integrativa;
• una funzione promozionale-preventiva prevalentemente orientata a riconoscere dalla somma delle singole azioni sociali le aree complessive di problematicità intorno a cui promuovere studi e ricerche, quindi processi di conoscenza; coinvolgimenti e negoziazioni interistituzionali per avviare strategie territoriali di prevenzione del disagio sempre più mirate; per diffondere complessivamente una cultura di attenzione ai diritti dei minori. una rete di saperi, ipotesi esplicative funzionali ed utili sul piano operativo.
Si delinea così all’interno della giustizia minorile un complesso sistema d’intervento, fondato sulla complementarietà dell’azione tra i servizi e sul potenziamento dell’operatività integrata.
In sede sovrannazionale questi concetti vengono ratificati da una copiosa produzione documentale. Nel 1985 l’ONU approva le regole minime per l’Amministrazione della Giustizia Minorile e più tardi, nel ‘90, la stessa ONU, con le risoluzioni “Principi direttivi di Riyadh sulla prevenzione della devianza minorile” e “Regole minime per la protezione dei minori privati della libertà”, invita a prevedere attenuazioni di responsabilità, ristrette limitazioni della libertà personale, approntamento di strutture specifiche, specializzazione di tutti coloro che operano a contatto coi minori del penale, norme di cautela deontologica per gli operatori di polizia. Per quanto riguarda l’Italia, ci sono anche i principi affermati dalla Costituzione ad ispirare la legislazione penale e processuale minorile.

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